Il governo italiano sta accelerando sull’approvazione di un disegno di legge che regolamenterà la controversa questione degli affitti brevi.
La spinosa questione risponderà finalmente alle richieste degli albergatori, che da tempo chiedono al Governo di intervenire per disciplinare una situazione che a tutti gli effetti si poneva al confine con la concorrenza sleale.
Vediamo cosa prevede il disegno di legge.
Affitti brevi: soggiorno minimo e restrizioni ai proprietari
Il disegno di legge mira a regolamentare il proliferare degli affitti brevi, imponendo l’obbligo di una permanenza minima di due notti nei centri storici delle città metropolitane. A differenza della bozza iniziale, non sono più previste deroghe, nemmeno in caso di nucleo familiare numeroso.
Inoltre, sono previste restrizioni dirette per i proprietari, che non potranno affittare più di due appartamenti senza essere considerati “attività economica” e, di conseguenza, aprire una partita IVA.
Il limite di due appartamenti in locazione breve per lo stesso proprietario è stato ridotto da quattro rispetto alla proposta precedente.
Il Cin e gli standard di sicurezza
Il testo del disegno di legge introduce l’obbligo di un Codice identificativo nazionale (Cin) per tutte le case destinate all’affitto turistico, inclusi alberghi e strutture extralberghiere.
Il Cin verrà assegnato per garantire la tutela della concorrenza, della sicurezza territoriale e per contrastare pratiche irregolari di ospitalità.
Chiunque conceda in locazione un immobile ad uso turistico dovrà esporre il Cin e indicarlo in ogni annuncio pubblicato.
Le sanzioni per chi non espone il Cin o affitta senza di esso possono arrivare fino a 10.000 euro. I controlli saranno a carico dei comuni, attraverso la polizia locale e gli agenti di polizia giudiziaria.
Gli immobili adibiti a uso turistico dovranno inoltre rispettare gli standard di sicurezza contro incendi e monossido di carbonio, e rispettare gli standard igienico-sanitari.
A chi si applica
Il disegno di legge sugli affitti brevi estende la responsabilità del pagamento dell’imposta di soggiorno ai proprietari, agli intermediari immobiliari (property manager) e ai soggetti che gestiscono piattaforme telematiche (Ota).
Le disposizioni coinvolgono le 14 città metropolitane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Bari, Palermo, Catania, Bologna, Firenze, Venezia, Genova, Messina, Reggio Calabria, Cagliari), oltre ai circa 969 comuni caratterizzati da un’elevata densità turistica.
Non sono previste deroghe: tutti i comuni classificati dall’Istat come “a vocazione turistica” sono soggetti alla normativa, indipendentemente dalla loro popolazione, anche se inferiore a 5.000 abitanti.
Il testo prevede inoltre restrizioni per chi può affittare un appartamento a uso turistico breve, escludendo coloro con condanne superiori a tre anni senza riabilitazione, chi è sottoposto a sorveglianza speciale o misure di sicurezza personale, e chi è stato dichiarato delinquente abituale o per tendenza senza riabilitazione.
Perché disciplinare gli affitti brevi?
Sulle principali piattaforme di affitti brevi a uso turistico si registra attualmente un numero approssimativo di 500 mila proposte di appartamenti e stanze private o condivise.
Questo fenomeno in rapida crescita ha causato un impatto significativo sull’industria dell’accoglienza alberghiera in Italia.
In particolare, gli alberghi e le pensioni a conduzione familiare, un tempo considerati un pilastro fondamentale del sistema ricettivo nazionale, stanno ora affrontando sfide nel rimanere competitivi sul mercato.
Nel corso di un decennio, quasi 3000 hotel a una e due stelle sono scomparsi a causa dall’aumento delle offerte di appartamenti in affitto, che presentano costi di gestione inferiori e ad oggi sono esenti da obblighi riguardanti il livello minimo dei servizi.